skip to Main Content

I batteri che gli antibiotici non vincono più

L’Oms: ogni anno nel mondo 700 mila morti per la resistenza ai farmaci creata dall’abuso sia sugli uomini sia sugli animali. E l’Italia è prima nell’Ue con 10.000 casi.

Sir Alexander Fleming, in un’intervista al New York Times nel 1945, metteva già allora in guardia: secondo lo scopritore della penicillina, un uso inappropriato dell’ antibiotico poteva portare alla selezione di «forze mutanti», cioè resistenti al suo effetto, in germi di vari tipo. Profetico. Già dopo un anno di impiego diffuso della «sua» penicillina una buona percentuale di batteri non reagiva più alla cura.
Da allora, fino a oggi — più di settant’anni dopo —, nonostante la ricerca abbia prodotto decine di nuove molecole, le cose sono andate peggiorando.

Ecco gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms): ogni anno 700 mila persone nel mondo muoiono per infezioni resistenti agli antibiotici e il numero crescerà fino a dieci milioni nel 2050, se non si prendono provvedimenti. L’Italia, in tutto questo, è messa piuttosto male. «Il nostro Paese detiene il triste primato europeo della mortalità per antibiotico-resistenza — commenta Annalisa Pantosti, responsabile della Sorveglianza sulla Antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) — tanto che dei 33 mila decessi che si registrano in Europa, ogni anno, per infezioni causate da batteri insensibili agli antibiotici, oltre diecimila riguardano il nostro Paese. Parliamo soprattutto di infezioni contratte in ospedale».

Italia maglia nera, superata solo da Grecia e Spagna. Ma, per dovere di cronaca, ci sono due piccole notizie positive.
La prima è che nel nostro Paese si segnala, per il 2018, un leggero calo delle resistenze per otto «sorvegliati speciali», cioè otto germi responsabili delle più comuni infezioni ospedaliere. Qualche nome di germi, per chi li ritrova nei referti di laboratorio: Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter, Stafilococco aureo, Streptococco pneumoniae.

«Questi germi sono coinvolti in infezioni (come è suggerito anche dal loro nome, ndr), prevalentemente ospedaliere; ad esempio le sepsi (infezioni del sangue,ndr), le polmoniti, le infezioni delle vie urinarie. Colpiscono soprattutto persone “fragili”, come gli anziani o chi ha poche difese immunitarie», commenta Massimo Galli, professore di Malattie Infettive all’Università di Milano, Ospedale Sacco e Presidente della Società italiana di Malattie infettive e tropicali (Simit).

E come mai queste infezioni sarebbero in calo? Probabilmente perché si sta ponendo un’attenzione maggiore all’uso di antibiotici in ospedale. E anche in veterinaria: nel 70 per cento dei casi gli antibiotici vengono utilizzati negli allevamenti di bovini o di polli, ma anche di pesci; per combattere infezioni, ma anche a scopo auxologico, vale a dire per favorire la crescita degli animali stessi.

Seconda buona notizia. «La medicina italiana è anche etica — commenta Matteo Bassetti, professore di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova e Presidente della Società italiana di Terapia antinfettiva (Sita) —. È vero che molte infezioni antibiotico-resistenti si registrano negli ospedali, ma perché cerchiamo di curare tutti, anche i malati più fragili che, inevitabilmente, vanno incontro a questi problemi».

Però la questione rimane aperta. Non a caso da domani e fino a domenica è stata promossa, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), la Settimana Mondiale della consapevolezza sull’uso degli antibiotici.
La nascita delle resistenze batteriche non è solo un problema ospedaliero — dove peraltro esiste un vero e proprio abuso: perché prescrivere una profilassi di una settimana per un intervento di ortopedia, quando basterebbe solo un giorno? — , ma nasce soprattutto sul territorio.

Oggi troppe persone assumono antibiotici: quando si ammalano di l’influenza, per esempio. Un tema «caldo», da qui in avanti . L’influenza è da virus: l’ antibiotico combatte i batteri, non serve a niente (e fa danni) contro i virus influenzali, meglio combatterli (e prevenirli) con il vaccino.
Però si continua ad abusare di antibiotici. Complici il «fai da te» (se ho in casa una vecchia scatola di queste pillole me ne prendo un po’ ai primi sintomi: malissimo) e la connivenza di medici e farmacisti, magari su sollecitazione dei pazienti, che li prescrivono e li dispensano (così , come «copertura»). E si sentono persone che dicono «sono sotto antibiotico». Ma se uno non si sente bene, non è meglio che si metta a letto e non infetti gli altri? (Partite Iva permettendo…). E non si vaccini come prevenzione?

Ma ritorniamo al problema germi «resistenti». In Toscana sono comparsi ceppi di batteri chiamati New Delhi, insensibili agli antibiotici più comuni: 136 casi dal novembre 2018, letali in trenta pazienti su cento. Un’emergenza.
Il problema è trovare nuovi farmaci per combatterli. Le aziende farmaceutiche, che si erano ritirate dalla ricerca negli ultimi anni — attratte dallo studio di molecole per malattie croniche da somministrare ai pazienti per tutta la vita! —, stanno reinvestendo, consapevoli che il problema può rappresentare un nuovo business. E stanno sfornando nuovi antibiotici.

Poi ci sono alternative ai farmaci, in studio. «Un esempio sono i fagi — spiega Galli —. Virus capaci di infettare i batteri e di distruggerli, come ha dimostrato in uno studio Mario Corbellino del mio gruppo».
La lezione viene dal fiume Gange, in India. Quando nelle sue acque superinquinate compaiono vibrioni del colera, si registra anche un aumento di fagi.
Morale: prendendo spunto da situazioni molto lontane da noi si possono trovare suggerimenti per risolvere i problemi di casa nostra.

Fonte: CORRIERE DELLA SERA

Back To Top